Ho sempre trovato il tempo un concetto estremamente affascinante. Reduci da un anno così funesto, mi ha stupito vedere come la sua percezione e il suo valore siano estremamente relativi e perlopiù frutto del contesto in cui esso viene speso.
Abbiamo visto il mondo fermarsi, i ritmi calare e il tempo che avevamo dilatarsi, lasciando nei buchi riempiti quotidianamente dalla frenesia un incredibile nuovo spazio di pensiero.
Mi piace pensare che questo sia stato l'anno in cui non ci siamo piegati, bensì riappropriati del nostro tempo, ma ho come la sensazione che al primo Vinitaly di turno torneremo tutti - me compreso - a correre e forse anche più di prima... intanto, però, mi crogiolo nell'idea di aver ridato senso al tempo, trovando in questi silenzi risposte.
Una delle più significative è arrivata proprio mentre scrivo queste righe, durante un bellissimo confronto con il più grande studioso dei vini valdostani, Rudy Sandi.
Ho sempre avuto l'impressione che alla Valle d'Aosta mancasse un vitigno o un vino "leader", che potesse rappresentarci nel mondo, e degustando insieme a Rudy, si è svelato ai nostri occhi un concetto nuovo e diverso di identità: la Valle d'Aosta non potrà mai essere rappresentata da un solo vino, ma da un gusto, ovvero dalla profonda impronta territoriale che assumono i vitigni coltivati nella nostra regione. Questa eterogeneità varietale fa parte della nostra storia ed è ciò che siamo tuttora.
Oggi le storie si inventano, siamo sudditi di una comunicazione sempre più avanzata e, al contempo, sempre più vuota. Comunicare il vino significa dunque resistere, tenendo alto e reale il valore del contenuto. Questa visione si sta facendo strada in noi e, nel cercare di darle seguito, troviamo forza e stimolo per affacciarci a questo 2021.
Accorciare le distanze è stato per noi il bisogno primario di quest'anno. Come ben sapete, a differenza di molti altri settori, l'agricoltura non si è mai fermata. Ci siamo trovati a proseguire e a curare il ciclo inarrestabile della campagna in un mondo che pareva avesse smesso di girare. Una prospettiva sicuramente curiosa... Così la vendemmia 2020 è stata portata al suo compimento e, guardando indietro, si fa strada in noi una felice consapevolezza: non ricorderemo questa annata per la "sola" pandemia, ma anche per la grande qualità dei vini prodotti.
Il tempo che ci è stato concesso lo abbiamo sfruttato per guardare meglio dentro di noi e dentro ai nostri vini. Il campo della produzione è sicuramente quello che vede maggiormente coinvolto il produttore, eppure l'emozione che riesce a darci lo sguardo di chi trova stupore degustando per la prima volta il nostro vino è davvero indescrivibile. Perché il vino è come la musica, se nessuno canta le tue canzoni non verrai mai ricordato. Il vostro sguardo, il vostro confronto è ciò che più ci è mancato. Abbiamo così cercato di racchiudere tutto il nostro entusiasmo nel raccontarvi ogni singolo vino in questo documento, con l'intento di arrivare a voi con un bicchiere e insieme, in qualche modo, brindare.
Insomma, di incertezze, guardando il futuro, ce ne sono anche troppe, ma noi qualche certezza ci sentiamo di garantirvela. Sicuramente usciremo a settembre con un vino del quale parliamo ormai da anni e che finalmente è giunto il momento di degustare. Si tratta del Clairet: un vino storico della nostra regione, a base Nebbiolo, la cui memoria è andata persa nei secoli. Una storia incredibile, che non vediamo l'ora di raccontarvi.
Uscirà poi la nuova annata de L'Emerico, la 2018, nella quale convergono molti anni di ricerca e studio, i cui risultati siamo desiderosi di leggere nei vostri occhi e sui vostri volti.
Ciò che è certo, infine, è che continueremo a bere vino e a farci emozionare da tutto ciò che questa bevanda evoca in noi.
Sicuro è anche che tutto questo passerà, come scriveva Fabrizio De André sul suo "esilio" all'Hotel Supramonte: "Passerà anche questa stazione, senza far male Passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore"
A presto.
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